History of Oil Painting – BOZAR

History of Oil Painting di Romeo Castellucci
Curata da Piersandra Di Matteo
Production BOZAR



Romeo Castellucci presenta un nuovo progetto ispirato al caravaggismo,
in occasione della mostra«Théodore van Loon. Un caravaggesco tra Roma e Bruxelles»



ph. Romeo Castellucci

Nei suoi dispositivi per la sensazione, come nel suo teatro, Romeo Castellucci trama costantemente con la storia dell’arte occidentale. Affonda con rigore nelle radici della tradizione, stringe un patto con le forme della rappresentazione per recidere ogni legame addomestico al già conosciuto. Questa è la tattica (o la trappola) messa in atto per predisporre l’affiorare di qualcosa di inatteso, un manque, forse una fenditura non prevista nell’immagine, una faglia che interroga la condizione dell’essere spettatore, oggi.  

 

            History of Oil Painting, titolo dell’opera presentata a Bozar, tradisce sin da subito un piano articolato di referenze alla storia dell’arte. Castellucci costruisce un vestibolo installativo, un nodo drammaturgico, che convoca in pieno la cultura barocca. Se la pittura barocca non smette mai di fare pieghe, l’artista fa della piega il centro della sua operazione: le pareti di un’intera stanza ricavata in un ambiente del museo sono perimetrate da un tendaggio di spugna bianca, ordinatamente organizzato piega su piega, piega secondo piega.

 

Costituendosi come forma e sfondo, la flessione della piega è colta nel suo aspetto geometrico, come luogo di un ripiegamento, come artefatto che mostra la necessità impellente di nascondere piuttosto che rivelare. L’anomalia del drappeggio con un tessuto povero e poroso richiama alla percezione una forma d’intimità domestica, un senso di umiltà che cozza con la solennità sinusoidale delle pieghe disposte in intervalli regolari che quasi disegnano colonne classiche. Lo spazio creato dalla trama della spugna accredita un marchio di prossimità al corpo, alludendo all’atto del lavare, dell’assorbire e del tamponare la pelle, e forse, per via dell’albinismo che campeggia, anche la scena di un lavacro di redenzione, di un rito purificatorio.

 

Ma il corpo qui è convocato in assenza, attraverso un resto. I capelli esposti nel centro di questa stanza, che appare ora come una cappella laica, sono il frutto di una trattativa, di una compravendita. Appartengono a una prostituta che, dietro l’elargizione di una somma di denaro, ha accettato di consegnare all’artista una parte dì sé. La verità biologica del pezzo di corpo si rivela nella forza di una sineddoche che custodisce una parte ceduta in vece dell’intero. L’offerta organica dei capelli, ottenuta dietro compenso, riposa al sole del mercato dell’arte, che baratta il suo valore d’oggetto tagliato per essere mostrato. Come una reliquia, ma senza enfasi sacrale, il mazzetto di capelli si consegna allo spettatore come una cosa nelle cui cellule è nascosta e contenuta la chiave genetica della donna anonima che li ha ceduti.

 

Questo scambio non simbolico convoca un commercio antico, quello tra l’artista e la sua modella. Stabilendo un contratto con la prostituta, modella par excellence – convenzione in uso sin dall’antica Grecia di Prassitele – Castellucci stende in verità un filo teso con la passione per il vero inaugurata da Caravaggio, passione che stravolge in modo definitivo il rapporto tra pittore e modella, e segna un punto di non ritorno nella storia della pittura occidentale. Si sta di fatto alludendo alla capacità dell’arte di dare corpo alla verità di un soggetto non idealizzato, segnato dall’umanità del limite fisico che appella e chiama per nome lo spettatore come se si trovasse di fronte al proprio ritratto.

In questo trionfo di pieghe, in cui d’un tratto pare serpeggiare per associazione tutto un mondo di etere, sacre prostitute del tempio o di Maddalene, il vero cortocircuito tra i capelli e l’ambiente si compie attraverso la tecnica del ricamo. Nella spugna è ricamato a lettere cubitali il condensato della vita di questa donna-modella. La frase si spazia e si nasconde nel continuo riprodursi della piega. Nel suo risvolto si cela letteralmente la trama di un discorso e lo si lascia etimologicamente interdetto. Questa negazione sembra dire che non c’è accesso a una realtà spiegabile, perché è piegata in infinite pieghe. Non c’è accesso perché è impossibile spiegare (nel senso di togliere la piega) la vita, perché irriducibile al linguaggio. L’inflazione assegnata all’elemento linguistico, scarica il logos a vantaggio del soma e alla potenza flagrante della sua oggettività.
History of Oil Painting è dunque uno spazio contemplativo non affrancato dalla soggezione del bianco candito, è uno scrigno puro/impuro in cui lo spettatore fa l’esperienza dell’arte quando è in grado di testimoniare cosa significhi essere caduti in un corpo.

 

Piersandra Di Matteo

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