Cerimonia di Premiazione, 15 Ottobre 2020

Si pubblica il discorso integrale di Claudia Castellucci in occasione della cerimonia di consegna del Leone d’Argento, presso Ca’ Giustinian di Venezia

 

“Al Signor Presidente Roberto Cicutto, a Madame Marie Chouinard, Direttrice del settore Danza, assieme a tutto il Consiglio di Amministrazione della Biennale. Signore, Signori, a tutti Voi, qui presenti, porgo i miei saluti.

Vi sono stati, in passato, artisti che non fatico a giudicare ‘eroici’ a causa del loro caparbio continuare a produrre, nonostante il misconoscimento del mondo nei loro confronti; artisti che in vita sono stati sostenuti da pochi amici, o da nessuno… Ve ne sono anche ora, ma parlo di quelli del passato, perché la loro testimonianza brilla soltanto ora, per noi.

La loro produzione continuò contro ogni evidenza, e l’evidenza era che il mondo la ignorava, in un modo che veramente poteva portare smarrimento.

Sono loro -oggi- quelli che voglio evocare, non perché io faccia parte di questi artisti misconosciuti o disprezzati in vita, ma perché un premio così, a una come me, parabolata qui dalla caverna, deve pur dire qualcosa. Quello che deve dire è che la rappresentazione del mondo, anche in una condizione di solitudine essenziale o assoluta, continua a essere compiuta, in un modo segreto, da persone misconosciute, e proprio questo è misterioso. Perché lo fanno? Non potendo contare sul consenso, essi, anziché rinunciare, ragionano e producono secondo un metro astronomico, cioè consegnato a un’umanità che non raggiungono -forse perché successiva- e così facendo influenzano tutto il tempo, anche il passato. Vivono la loro condizione, anche la più obbligante, come qualcosa da affrontare, e non come un condizionamento.

Penso che soprattutto a loro, e al loro atteggiamento, oggi dobbiamo guardare.

Lo scorso Dicembre –quando ricevetti la notizia della decisione di Marie Chouinard di assegnarmi il Leone d’Argento per la Danza– le dissi che ero stupita di questa sua decisione, perché ho sempre pensato e danzato nei ‘recinti’ delle scuole che ho inventato. Luoghi separati da contesti teatrali e pubblici, e perfino didattici. Scuole, dove ci si trova per il piacere di studiare e danzare insieme, senza altri scopi. Le motivazioni che hanno spinto Marie Chouinard ad assegnarmi questo premio sembrano conoscere tutto il lavoro che ho condotto in segreto per tanto tempo. Ciò significa che anche soltanto una danza, come quella che daremo domani sera, qui, a Venezia, può rivelare molto passato…

La danza è un’arte che può certo mescolarsi, come tutto, ma nel nostro caso, ha una specificità del tutto peculiare, che consiste nell’avere una parte di verità fisica e soggettiva di gran lunga superiore alla parte legata alla rappresentazione, intesa come finzione. In questo, la danza è tanto tanto lontana dal teatro, perché è svincolata da subito dall’obbligo originario dell’arte di imitare qualcosa, di raccontare qualcosa: è essa stessa quel qualcosa. Penso che la divisione tra danza e teatro abbia origine nella storia profonda. Mi scuserete se io mi trovo ancora agli inizi di questa storia… e dunque ora sapete il motivo di questo mio essere così primitiva.

“Rendere ciò che è dovuto”, così Agostino raccomanda di osservare i tempi di silenzio nel verso della poesia. Era chiaro che il silenzio era una dose dovuta, per smaltire la parola. E la poesia era allora sinonimo di canto, cioè di Musica. Poesia, Musica e Danza, questa la genealogia dei fatti, di un’arte dei fatti e non soltanto di contenuti riferibili a parole.

Quanto è stato importante, per noi, l’esercizio sul silenzio e sulla pausa, su quella parte della danza che può dirsi mancante, cioè quel restare fermi, in attesa, qui, sulla Terra, di cambiamento –perché questo, vuol dire la danza.

Perciò eccomi qui, oggi, con la nostra Compagnia che si chiama Mòra, che significa la più piccola pausa, utile alla percezione di singoli istanti: così la definisce Agostino nel suo libro sulla Musica.

Domani sera la Compagnia Mòra danzerà a Venezia, e i nomi di chi la compone sono i contenuti viventi del ballo che è scaturito dopo gli impulsi iniziali delle mie indicazioni. E’ certo, infatti, che queste hanno avuto bisogno dell’intelligenza di Sissj Bassani, che ha aiutato me e i suoi compagni a rendere tecnicamente nitide le mie intenzioni, essendo lei per prima interprete cristallina.

Poi ci sono: René Ramos, il rabdomante delle pause, cui attinge come sorgenti di cui si fa testimone calibrato; Silvia Ciancimino, che scala e squarcia la fortezza più incubata della danza; Pier Paolo Zimmermann, che si incarica fino in fondo della verità psichica della danza; e Francesca Siracusa, precisa e affettuosa nel comprendere l’importanza segreta del riso nella danza.

Chi più fortunata di me, ad attraversare la danza con questi marinai?

A completare il privilegio di avere con me giovani così sapienti ci sono Camilla Rizzi, organizzatrice di splendente intensità, che protegge il nostro ballo, in attesa di portarlo alla luce; Stefano Bartolini, l’erudito compositore che tesse con noi la musica, passo dopo passo. (In questa occasione veneziana e serenissima, dove domina Olivier Messiaen, egli ha composto il fastigio finale); Matteo Ramon Arévalos, nostro valentissimo pianista, che sostiene la nostra danza centellinata; ed Eugenio Resta, che ora cura –da danzatore– lo scenario e le luci, assistito da Francesca Di Serio.

Voglio ricordare, qui, anche Alessandro Bedosti, che pur contrastando aspramente la nostra danza, in quanto votata allo schema e al vincolo ritmico, ci ha aiutato a esplorare la libertà che pure vive, eccome! nei programmi metrici. Ricordo anche Tommaso, Benedetta e Federica scolari del Passato, e Guillermo De Cabanyes, danzatore nostro prossimo.

Ringrazio tutte le persone che lavorano nella gran fabbrica di idee che ha luogo presso il Teatro Comandini di Cesena, e sostenuta dal Comune di Cesena: Gilda Biasini, amica imprescindibile, le responsabili ed esperte MichelaMedri e Benedetta Briglia, Simona, Cristina, Massimiliano, Elisa, Elena, Giulia, Gionni, Caterina e infine Carmen, mia grande e generosa sorella.

In ultimo –e dal principio– saluto i miei compagni di giochi e di metamorfosi del gioco: Romeo, Chiara e Paolo, e tutta la mia famiglia, parentale e metafisica, con tante persone che hanno danzato scandendo tutte le Stagioni dell’anno.

Quanti ne ho conosciuti, che hanno messo in pratica il motto del grande saggio che appiccava incendi -con le foglie secche- nei boschi notturni del Piemonte, per contemplare il fuoco e il suo ritmo sempre nuovo:

“E valga come perduto per noi, il giorno in cui non danzeremo almeno una volta!”

Tutto questo durò lungo tempo, o pochissimo: perché a dire il vero, non esiste un tempo terreno per cose di questo genere.”

C.C.

<