Voci di indemoniati, di posseduti, di stati isterici innescano presenze corporee. Così si mostra l’attore secondo Romeo Castellucci: non più portatore di un discorso narrativo, spogliato da ogni atto di volontà o scopo, si dà come corpo agito dalla scena.
Creata nel 2011 per la Biennale di Venezia, la performance registra la forza esterna che s’impadronisce dell’attore e ne determina l’azione. La lingua che lo cavalca e lo invade è quella di corpi del passato, fatta di balbettii, borgorigmi, lallazioni, glossolalie, melopee, conati e urla. E la sua tecnica consiste nella ricerca di una necessaria passività, nella capacità fondamentale d’interpretare, attraverso la carne, le forze e le potenze che lo governano, forse da sempre. Accolta nel Salone di Palazzo Gnudi nelle ore pomeridiane – tesa tra elementi di estrema finzione e sospetto del reale – Attore, il tuo nome non è esatto si accende della luce diurna proveniente dalle grandi vetrate virate al rosso.
Questo cuore pulsante diviene il gesto conclusivo di Castellucci che riporta il teatro a infiammare il centro della città.